Viaggio nella civiltà etrusca attraverso le parole dell’archeologa Francesca Bianco: la modernità del ruolo della donna e la ritualità matrimoniale
Il matrimonio nella cultura etrusca – Il press tour “La ninfa, il lago, il palazzo, gli amori… Viaggio alla riscoperta di un territorio meraviglioso”, recentemente organizzato da Urat (Unione Ristoratori Albergatori del Trasimeno) con la collaborazione dell’Unione dei Comuni del Trasimeno e Palazzo Pantini Nicchiarelli, dimora storica di Castiglione del Lago, è stato anche l’occasione per presentare ad un selezionato gruppo di giornalisti preziosi reperti conservati nei sotterranei della Chiesa e museo di Santa Maria dei Servi a Città della Pieve, in provincia di Perugia.
In particolare, si tratta di urne e sarcofagi etruschi scoperti alla fine del 2015 provenienti dalla tomba di San Donnino, detta Tomba di Laris e situata, appunto, nella località San Donnino nel comune di Città della Pieve.
Esiste, infatti, un “Umbria etrusca”, forse poco conosciuta ai più ma ricchissima di testimonianze di questa importante civiltà antica: si tratta del territorio circostante il lago Trasimeno, il più esteso lago dell’Italia centrale, quarto tra i laghi d’Italia. I numerosissimi resti archeologici ritrovati testimoniano l’importanza dell’insediamento in epoca etrusca e raccontano una popolazione a tutt’oggi ammantata di mistero a causa dell’unicità culturale e degli stili di vita pressoché impensabili per l’epoca. Gli etruschi, infatti, si possono a buona ragione annoverare tra le civiltà più avanzate del mondo antico, capaci di avvalersi di regole sociali decisamente all’avanguardia, soprattutto per ciò che attiene il ruolo della donna nella società.
Ne abbiamo parlato con la Dr. ssa Francesca Bianco, archeologa ed esperta etruscologa che nella sua carriera professionale può vantare proprio di aver scavato la Tomba di San Donnino sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria. Insieme a lei hanno partecipato altre tre archeologhe Benedetta Droghieri, Andrea Pagnotta e Silvia de Fabrizio.
Dr. ssa Bianco, partiamo da questa importante scoperta: di cosa si tratta e perché è stata considerata di particolare rilevanza storica?
Era un pomeriggio buio e tempestoso, quando la ruota di un trattore affondò in un avvallamento nel terreno. Il contadino scese per controllare, rimontò sul mezzo e riuscì a smuoverlo dalla situazione precaria in cui si trovava. Scese nuovamente e si rese conto che non si trattava di un avvallamento, ma di una voragine che si inabissava nel terreno. Incuriosito, infilò la testa nell’apertura ed ecco che da dentro due occhi fissi e gelidi ricambiavano il suo sguardo…
So che può sembrare l’incipit di un romanzo d’avventura ma il rinvenimento della tomba andò proprio in questo modo. Nessuno si sarebbe mai aspettato che in quell’autunno del 2015 il territorio avrebbe regalato una scoperta del genere.
È stato come un fulmine a ciel sereno per tutti. Databile all’età ellenistica, la tomba a camera, interamente scavata nel terreno argilloso, ha restituito due monumentali sarcofagi in pietra, di cui uno con iscrizione, e tre urne cinerarie in alabastro con coperchio figurato, di cui una con iscrizione, e corredo miniaturistico e a grandezza naturale.
Grazie alle iscrizioni conosciamo anche il nome dei proprietari della tomba, la famiglia Pulfnas, appartenente all’aristocrazia della vicina città di Chiusi, la “capitale” della zona.
Il fatto di essere stata trovata per caso, sigillata e con all’interno tali reperti monumentali con due iscrizioni ha reso la tomba importantissima a livello internazionale. Ritrovamenti di questo genere, infatti, non emergevano in zona da almeno un paio di secoli.
Questo le valse la nomination tra le 5 scoperte archeologiche più importanti del 2015 nell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” ed. 2016 della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, e ne vinse lo Special Award.
Città della Pieve nel corso del XVII e XIX secolo ha restituito numerose tombe di questo genere, con reperti di rilievo che oggi arricchiscono i musei di mezzo mondo, ma questa è l’unica che sia stata scavata con i moderni metodi archeologici, attenti a raccogliere ogni informazione.
Dal noto “Sarcofago degli sposi” alle nuove scoperte. Cosa ci raccontano le tombe etrusche?
Le tombe etrusche sono una fonte inesauribile di informazioni sulle consuetudini degli Etruschi, dalle forme delle case e gli arredi, ai modi di vita, come il banchetto e i giochi funebri, fino all’abbigliamento.
Ci raccontano anche di aspetti immateriali come la ricercatezza dell’aspetto estetico, i passi di danza o l’importanza della musica nelle cerimonie e in altri ambiti della vita quotidiana. Ed infine, ci raccontano la condizione della donna, molto più emancipata delle sue contemporanee romane e greche.
Abbiamo fatto cenno alla modernità della civiltà etrusca rispetto alle contemporanee culture romane e greche. In cosa si distinguevano?
Ciò che sconvolgeva Romani ed Greci riguardo al popolo etrusco era soprattutto l’emancipazione delle loro donne. La documentazione letteraria e archeologica, infatti, ci racconta di donne assai più emancipate rispetto alle loro omologhe greche e romane.
Gli autori ci raccontano che le nobili donne etrusche partecipavano ai banchetti, e ciò è confermato dai coperchi delle urne cinerarie e dagli affreschi funebri. Questi mostrano donne, riccamente vestite ed ornate, sdraiate da sole oppure fra le braccia dei loro mariti sotto la stessa coperta, o sedute in fondo al lettuccio, come nell’urna del Butarone da Città della Pieve rinvenuta nel XIX secolo.
Partecipavano alla gestione familiare, accoglievano gli ospiti, bevevano e mangiavano assieme agli uomini senza che ciò fosse considerato sconveniente. Potevano anche assistere a spettacoli pubblici, feste religiose e a gare sportive. Attività e libertà queste che scandalizzavano Greci e Romani!
Anche il sistema onomastico, riscontrabile nelle iscrizioni funebri, teneva in considerazione il ruolo della donna/moglie/madre. Infatti, sebbene la famiglia fosse patrilineare un individuo poteva essere identificato dal nome di famiglia del padre (patronimico) affiancato a quello della madre (matronimico), consuetudine impensabile nel mondo greco e romano. Ed in Etruria questa tradizione sarà documentata anche dopo la romanizzazione, come testimoniano i nomi delle madri nelle iscrizioni ormai in alfabeto latino.
Il matrimonio era un momento considerato estremamente importante nella società etrusca. Abbiamo informazioni che ci aiutino a comprendere quali erano le consuetudini e le ritualità legate alla cerimonia nuziale?
Sfortunatamente le notizie in nostro possesso sul matrimonio etrusco sono assai scarse e quel poco che si conosce è estrapolabile da testi latini o dalla documentazione archeologica.
Il rito matrimoniale, comunque, veniva compiuto in età giovanile ed era di carattere prettamente religioso. La cerimonia vedeva il futuro marito recarsi alla casa della sposa, accompagnato da parenti e musici. Da lì in un gioioso corteo, gli sposi facevano ritorno alla casa del marito per compiere il rituale davanti all’altare degli antenati di lui.
Le testimonianze archeologiche più tarde, circa III-I sec. a.C., ci restituiscono un rituale simile a quello romano, detto cum manus, in cui la donna veniva completamente adottata dalla famiglia del marito e quindi anche seppellita nella tomba della famiglia del consorte in quando moglie e madre.
Successivamente un’evoluzione del rito, definito sine manu, configurò la donna come un “prestito” alla famiglia del marito, poiché sottoposta ancora dalla patria potestà di suo padre e con la facoltà di poter tornare alla casa originaria qualora rimanesse vedova, ad esempio.
Per la donna, comunque, il matrimonio era il fulcro della sua dignità sociale e della legittimazione nella sfera pubblica.
La scena di un matrimonio si trova su uno dei famosi sarcofagi bisomi, ossia per due corpi, rinvenuti nella Tomba dei Tetnies (Vulci) e datato al IV sec. a.C. (oggi al Museum of Fine Art di Boston). Entrambi i sarcofagi hanno il coperchio decorato con una coppia maritale, una anziana e una giovane, teneramente abbracciata.
La cassa del sarcofago della coppia più anziana mostra una sorta di fotografia di gruppo con al centro la coppia di sposi e accanto vari giovani accompagnatori che recano strumenti musicali ed altri oggetti come brocche, un bastone con lanterna, un fascio littorio, una ghirlanda e una sedia pieghevole.
Gli sposi sono ritratti nel rito matrimoniale definito destrarum iunctio, in cui i due sposi si stringono la mano destra come segno di unione. La sposa cinge con il braccio sinistro le spalle di marito ed entrambi si guardano reciprocamente a sancire il loro legame affettivo. In questo contesto funebre l’intenzione è quella di ribadire come il loro legame durerà anche dopo la morte.
In questa festosa occasione, era uso indossare particolari vesti, adornare i capelli e, in generale, utilizzare elementi di decoro ed abbellimento personale?
Sicuramente si. Le donne etrusche erano famose per la cura del loro aspetto, dal trucco all’abbigliamento. I loro abiti erano realizzati con coloratissimi tessuti in lana e lino a cui venivano abbinate ricche parure di gioielli.
La sposa (puia in etrusco) veniva adornata di gioielli e probabilmente, in analogia con il rituale romano, era avvolta in un velo color zafferano, segno di buon augurio. Il sarcofago, a cui facevo riferimento prima, ci aiuta in questo almeno in parte. La donna, infatti, è abbigliata con un abito lungo pieghettato, è avvolta in un velo ed ha i capelli raccolti. Lo sposo è invece raffigurato a petto scoperto nella c.d. nudità eroica.
Gli abiti avevano una valenza semiotica?
Per gli Etruschi nessun aspetto della vita veniva lasciato al caso, quindi anche gli abiti venivano scelti con cura, soprattutto i colori, i ricami e le applicazioni di materiali diversi. Il vestito, in generale, non serviva solo a proteggersi dal freddo, dal sole o dalla pioggia, ma anche dagli influssi malefici.
La simbologia e il significato profondo di tutto questo, però, sfugge all’occhio contemporaneo. La sposa ammantata di rosso-arancio nel mondo romano a cui si accennava sopra, ad esempio, richiamava la veste della flaminica, la moglie del flamine, il sacerdote di Giove a cui, tra i numerosi obblighi, era vietato lasciare la moglie, per cui era indice di buon augurio per l’indissolubilità del legame matrimoniale.
Per concludere, possiamo ancora attenderci nuove scoperte dal territorio umbro?
Certamente! Sebbene possa sembrare che ormai sia stato trovato tutto, il sottosuolo conserva ancora numerose testimonianze del mondo antico. Queste aspettano solo di essere trovate, un po’ come è successo a Città della Pieve con la Tomba di San Donnino.
Di Erika Gottardi
Posted by Woman & Bride